L’Unione Europea e lo spreco di cibo, si litiga su definizioni terminologiche
È da un po’ che non mettiamo il naso nei lavori dei parlamentari dell’Unione Europea, ed ora un recente comunicato di SlowFood ci dà l’occasione di riprendere un tema che abbiamo trattato più volte: riguarda la faccenda dello spreco di cibo.
Lo scorso 16 maggio 2017 il Parlamento della UE ha approvato, ad ampia maggioranza, una relazione firmata da Biljana Borzan (europarlamentare croata del gruppo Socialisti e Democratici) che sollecitava la Commissione Europea e gli Stati membri ad adottare una serie di misure volte a ridurre del 30% entro il 2025 e del 50% entro il 2030 le 88 tonnellate di spreco alimentare annuo dell’Unione Europea, così come previsto dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite.
Sono sotto gli occhi di tutti le iniziative di Francia e Italia in questo ambito, avendo emanato leggi miranti a contrastare lo spreco di cibo nei ristoranti e ad agevolare la donazione di prodotti alimentari a fini di solidarietà sociale.
Entro la fine di novembre si dovrebbero concludere i negoziati tra Parlamento, Consiglio e Commissione Europea per decidere i prossimi 13 anni di politica sullo spreco alimentare. Ebbene, già si sa che non sarà facile raggiungere un accordo per la formulazione di una Direttiva con una definizione condivisa di “spreco” e perdite alimentari e nemmeno con la individuazione di linee guida per agevolare le donazioni di surplus di cibo a enti caritatevoli.
E questionano pure sulla metodologia di calcolo: gli attori del terzo settore vorrebbero che, oltre a misurare la quantità di cibo sprecato o perso nel corso della filiera, si calcolasse anche la quantità di cibo recuperato.
Inoltre, nell’ambiente si rumoreggia che Consiglio e Commissione mirerebbero a limitare gli obiettivi di dimezzamento dello spreco alimentare solo al livello dei rivenditori e dei consumatori, mentre le stime dicono che fino al 59% dell’intero spreco alimentare UE si verifica invece lungo tutta la filiera alimentare, nelle fasi di produzione, ossia nelle aziende agricole, e nell’industria della trasformazione alimentare, prima cioè della vendita al dettaglio.
È innegabile che lo spreco di cibo costituisca un problema etico, oltre che economico e ambientale, ma quando la politica sovranazionale si impiccia e si arroga il diritto a decidere su questioni così elementari, non possiamo che interrogarci sulla funzione di questa “unione” europea.
Maura Sacher
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